Quel che affidiamo al vento

Quel che affidiamo al vento
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Piemme
Gennaio 2020
Copertina rigida
280
Italiano
1 Agosto, 2022 5 Agosto, 2022

Sul fianco scosceso di Kujira-yama, la Montagna della Balena, si spalanca un immenso giardino chiamato Bell Gardia. In mezzo è installata una cabina, al cui interno riposa un telefono non collegato, che trasporta le voci nel vento. Da tutto il Giappone vi convogliano ogni anno migliaia di persone che hanno perduto qualcuno, che alzano la cornetta per parlare con chi è nell'aldilà. Quando su quella zona si abbatte un uragano di immane violenza, da lontano accorre una donna, pronta a proteggere il giardino a costo della sua vita. Si chiama Yui, ha trent'anni e una data separa quella che era da quella che è: 11 marzo 2011. Quel giorno lo tsunami spazzò via il paese in cui abitava, inghiottì la madre e la figlia, le sottrasse la gioia di essere al mondo. Venuta per caso a conoscenza di quel luogo surreale, Yui va a visitarlo e a Bell Gardia incontra Takeshi, un medico che vive a Tokyo e ha una bimba di quattro anni, muta dal giorno in cui è morta la madre. Per rimarginare la vita serve coraggio, fortuna e un luogo comune in cui dipanare il racconto prudente di sé. E ora che quel luogo prezioso rischia di esserle portato via dall'uragano, Yui decide di affrontare il vento, quello che scuote la terra così come quello che solleva le voci di chi non c'è più. E poi? E poi Yui lo avrebbe presto scoperto. Che è un vero miracolo l'amore. Anche il secondo, anche quello che arriva per sbaglio. Perché quando nessuno si attende il miracolo, il miracolo avviene.

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Di cosa parla

Ho letto alcune cose riguardo al terremoto del 2011 e mi piacerebbe leggerne altre, ma di questa cabina telefonica non ne sapevo nulla. Il libro parla di lutto, di persone che non riescono a superare la morte di un loro caro. Il telefono di cui si parla non è attaccato con l’aldilà, ovviamente, ma dà un senso di completezza a chi lo solleva. Non tutti parlano con i loro cari persi nello tsunami, come la stessa scrittrice ci dice, lei stessa non ha perso nessuno nel Grande Terremoto del Giappone Nordorientale, per cui la cabina è diventata una meta per quelle persone che hanno qualcosa in sospeso ed è giusto che rimanga così e che non diventi una meta turistica.

Cosa ne penso

Il libro mi è piaciuto moltissimo, ho pianto con i protagonisti, ho letto il loro dolore anche tra le righe e sono veramente felice che ci sia questo posto. Inoltre mi è piaciuta molto la nota dell’autrice, di come lei sia arrivata a quel telefono e di come non ha voluto parlare del disastro di Fukushima, perché ha ragione. Quando si parla di quel terremoto si pensa sempre e solo al disastro nucleare e come ho già detto altrove, delle 18500 e più persone che sono morte o scomparse e dei loro famigliari che devono convivere con la sindrome da sopravvissuto non si parla mai. Quante volte ho letto sui libri di geografia del terremoto del Tohoku e subito parlano di Fukushima? Ormai noi umani siamo diventati in secondo piano all’ambiente, che per carità è giusto conservarlo altrimenti diventeremo presto come Marte, ma in certi casi trovo più umano parlare d’altro.

Consiglio questo libro, è veramente ben scritto e lo stile è particolare.

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